RFI introduce la figura dell’agente unico sui treni merci ma senza adeguate garanzie tecniche e senza confronto. Un passo indietro che preoccupa
Nel cuore di un sistema ferroviario che ha costruito la sua affidabilità su regole severe, standard elevati e formazione scrupolosa, sorprende leggere una prescrizione operativa che autorizza la circolazione di treni merci con un solo agente di condotta a bordo. La misura, contenuta nella disposizione RFI-DTCA0011P20250000649, rappresenta un salto nel buio: apparentemente razionale dal punto di vista organizzativo, è fragile sul piano della sicurezza.
L’obiettivo, secondo quanto dichiarato, è semplificare la condotta e migliorare la produttività. Ma semplificare non può voler dire sgravare le responsabilità dai vertici e caricarle interamente sulle spalle del lavoratore in cabina. Con la figura dell’“agente unico”, il rischio non è solo tecnico: è sistemico.
FAST-Confsal, da tempo, ha lanciato un allarme chiaro. In una relazione tecnico-normativa puntuale e documentata, il sindacato ha chiesto a RFI di riesaminare la misura, segnalando numerose criticità che, a oggi, non hanno ricevuto alcuna risposta. Il tempo trascorso – oltre un anno – ha reso ancora più evidente l’assenza di un confronto reale. Ma l’aspetto più inquietante è che a molte domande, anche basilari, nessuno ha ancora risposto.
La più semplice è anche la più seria: se il macchinista si sente male, cosa succede? Chi interviene, e in quanto tempo? Il principio della doppia presenza non è mai stato un vezzo sindacale ma una misura di garanzia. In caso di malore, guasto, ostacolo sulla linea, un secondo agente può lanciare l’allarme, coordinare il soccorso, mettere in sicurezza la circolazione. Un agente solo, invece, è esposto all’isolamento operativo. E l’isolamento, nei trasporti, è sinonimo di rischio.
Il Regolamento (UE) 2018/762 stabilisce chiaramente che ogni organizzazione deve garantire la gestione efficace delle emergenze prevedendo ruoli definiti, canali di comunicazione, piani d'intervento. Ma queste prescrizioni, se non accompagnate da strumenti concreti, restano sulla carta. FAST-Confsal ha chiesto: dove sono le mappature delle zone senza copertura GSM-R? Chi garantisce che i soccorsi, in caso di necessità, possano raggiungere un convoglio fermo in galleria o in tratti di linea difficilmente accessibili? In quali tempi? E con quali istruzioni?
La realtà operativa ci dice che i tempi medi d'intervento, in caso di incidenti o emergenze in linea, sono tutt’altro che brevi. Senza indicazioni precise, un treno fermo con un agente impossibilitato a comunicare diventa un pericolo per sé e per gli altri. E nel migliore dei casi genera ritardi, disagi, costi.
A fronte di tutto questo, colpisce il silenzio con cui RFI ha ignorato le nostre osservazioni. Non è solo una mancanza di cortesia istituzionale: è il segnale di un’impostazione che considera il confronto come un ostacolo, non come una risorsa. Eppure, chi lavora sui treni ha il diritto – e il dovere – di dire la propria. Perché è lì, tra le rotaie e le cabine, che si gioca la sicurezza vera.
Modernizzare il sistema ferroviario è una necessità ma lo è anche mantenere vivi i presidi minimi di tutela. Il binomio efficienza-sicurezza non può essere spezzato. Inseguire la produttività senza presidiare il rischio significa esporre il sistema a un’insidia che può diventare tragedia.
Serve, ora più che mai, un ripensamento. Serve che le istituzioni tecniche tornino ad ascoltare e che il principio di precauzione torni ad avere un posto centrale nel governo dell’infrastruttura ferroviaria. Non si può pretendere che il solo macchinista sia, contemporaneamente, conduttore, tecnico, coordinatore del soccorso e garante del sistema. È una solitudine pericolosa e non possiamo accettarla come nuovo standard operativo.






